Cultura & Gossip
MUSICA - Pietro Condorelli presenta il nuovo album "Native Language" giovedì 2 maggio al Conservatorio San Pietro a Majella
29.04.2024 17:58 di Redazione
Giovedì 2 maggio 2024, nella Sala Martucci del “Conservatorio San Pietro a Majella” di Napoli, via San Pietro a Majella, 35, a partire dalle ore 18:00 il chitarrista jazz Pietro Condorelli presenterà al pubblico il suo nuovo album, “NATIVE LANGUAGE”. Condorelli sarà accompagnato dai componenti del trio con cui ha lavorato per la realizzazione dell’album, il “Pietro Condorelli Native Language Trio”, che vede Antonio Napolitano al contrabbasso e Raffaele Natale alla batteria. L’album è già disponibile sulle principali piattaforme digitali (Apple Music, Spotify, Amazon Music), su Youtube e nei negozi di dischi su cd e da oggi anche in vinile. L’evento il programma della rassegna “I giovedì del Jazz”, organizzata dal Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli. L’ingresso è libero fino ad esaurimento posti.
 
I brani dell’album
 
L'album Native Language comprende 8 versioni rivisitate di storici standard jazz ("I love you" di Cole Porter, "A flower is a lovesome thing" di Billy Strayhorn, "All of me" di Gerald Marks e Seymour Simons, "Pannonica” di Thelonious Monk, "Strollin'" di Horace Silver, "Rhapsodic" di Claude Bolling, "Giraffe" di Don Garcia e "I can't get started" di Vernon Duke) e un brano originale che dà il nome al disco, "Native Language", composto da Pietro Condorelli.
 
Il tema del capolavoro di Cole Porter, “I love you”, viene proposto con una serie di obbligati e arricchito da un solo di chitarra nel quale troviamo tutti i segni distintivi del fraseggio di Condorelli: la ricerca del senso melodico, la varietà del ritmo, l’approccio pianistico allo strumento, il sapiente dosaggio delle dissonanze. Sin dal primo brano si nota l’arte del trio. La base ritmica di Raffaele Natale e Antonio Napolitano è materia viva, pulsante e sensibile alle sollecitazioni del solista.
 
Il secondo brano è anche una scelta “politica”, oltre che artistica. Un omaggio a uno dei più grandi compositori della storia del jazz, Billy Strayhorn e al valore sociale del jazz, un genere che ha rappresentato per anni l’unica voce di chi (afroamericani, omosessuali, donne) negli Stati Uniti non aveva voce. “A flower is a lovesome thing”, struggente ballata proposta in una versione articolata sul piano ritmico, sia nel tema che nel solo.
 
Il terzo brano è un altro grande classico, “All of me”. Una rivisitazione decisamente ben concepita, in cui utilizzando le chiavi di un gergo jazzistico moderno Condorelli riesce ad aprire, a destrutturare e a riproporre in modo originale, pur senza stravolgerla, l’anima della composizione di Gerald Marks e Seymour Simons.
 
La title track, “Native Language” è l’unica composizione originale dell’album. Anche qui la melodia si rifà al jazz delle origini, con una parte romantica che lascia il posto a un bridge allegro e ironico. È forse in questo brano che si nota maggiormente la complicità tra Condorelli e il batterista Raffaele Natale, che lo segue con maestria nel vertiginoso sviluppo del solo. Ed è anche quello in cui il contrabbassista Antonio Napolitano mette sul tavolo le sue risorse tecniche, in particolare nell’articolazione ritmica del suo spazio solistico.
 
Decisamente interessante l’interpretazione di “Pannonica” di Thelonious Monk. Il chitarrista appare decisamente ispirato e si/ci concede un viaggio quasi psichedelico, in cui riesce a dare prova di una impareggiata capacità di rompere qualsiasi schema espressivo e di abbandonarsi alla pura trance creativa. Una libertà solidamente supportata dalla base ritmica di Antonio Napolitano e Raffaele Natale.
 
In “Strollin’” di Horace Silver, il chitarrista torna nel perimetro del linguaggio jazzistico più “edibile” e dà prova delle sue capacità comunicative, ricorrendo all’accezione più piena dell’espressione “native language” nella costruzione del solo e nel comping.
 
"Rhapsodic" è l’omaggio al grande compositore e pianista jazz francese Claude Bolling. Un musicista il cui background culturale è molto in linea con la musicalità di Condorelli, per la comune formazione classica e per l’amore verso lo stile espressivo dello swing “popolare”. Un’affinità che si nota anche nell’interpretazione del brano da parte del chitarrista casertano.
 
In "Giraffe" di Don Garcia troviamo alcuni degli esempi più caratteristici del registro linguistico/espressivo di Condorelli, sempre un passo avanti (o di lato) rispetto alle aspettative dell’ascoltatore. Imprevedibilità che, però, nulla toglie alla innata capacità del musicista di coinvolgere anche l’ascoltatore più tradizionalista. È proprio qui che si fa evidente, ancor più che negli altri brani, l’armonia del trio e la bravura di Natale e Napolitano, che come un solo strumento tracciano le coordinate dell’audace improvvisazione del band leader.
 
L’ultimo brano, “I can’t get started”, è invece eseguito dal solo Condorelli in stile pianistico, genere reso popolare da Joe Pass nel 1973 con il suo album “Virtuoso”. Una sorta di vocazione e allo stesso tempo un marchio di fabbrica, per Condorelli, tra i pochissimi chitarristi (se non l’unico) in Italia a distinguersi per l’abilità di suonare la chitarra eseguendo contemporaneamente la parte melodica, quella armonica e quella ritmica.
 
Il linguaggio e la tecnica di Condorelli
 
 
Uno stile unico, inconfondibile, quello di Condorelli. Il suo è un linguaggio musicale che suona nuovo e familiare allo stesso tempo, che affonda le radici nella tradizione jazzistica sedimentatasi nel secolo scorso ma che è proiettato al futuro, in un lavoro costante fatto di studio, ricerca e sperimentazione. Una “lingua madre” che lui ha imparato a riconoscere sin da bambino, che ha amato per tutta la vita e che oggi padroneggia con disinvoltura e maestria.
Il suo approccio pianistico alla chitarra, suonata contemporaneamente come strumento armonico, melodico e ritmico, fa di lui l’unico vero rappresentante in Italia della scuola chitarristica che ha visto in Barney Kessel e Joe Pass i suoi più illustri punti di riferimento. Ma proprio questo modo di esprimere la propria musicalità ha spinto Condorelli a trarre insegnamento e ispirazione da altri strumentisti, da Thelonious Monk a Bill Evans, da Barry Harris a John Coltrane.
A ciò si aggiunge il contributo personale di un vero e proprio cultore e teorico del linguaggio jazzistico, esploratore delle infinite possibilità di evoluzione di esso e autore di numerose pubblicazioni in ambito didattico. La sua padronanza dello strumento è evidente nella tecnica perfetta, nelle improvvisazioni intricate e nel fraseggio emotivo. Un virtuoso nel senso più ampio possibile che però riesce a esprimere la sua idea della musica con sensibilità e raro lirismo.
 
La carriera artistica e accademica
 
Con un percorso musicale che lo ha portato dalla natia Italia a diversi palcoscenici internazionali, Condorelli si è affermato come figura di spicco della scena jazz contemporanea. Nel corso dei suoi 40 anni di carriera ha collaborato nella didattica con giganti del jazz come Joe Diorio, Mike Stern, Jim Hall e Mick Goodrick, ha insegnato 15 anni a Siena Jazz e dal 2000 è docente di Chitarra Jazz al Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli. Ha suonato con musicisti di fama internazionale come Lee Konitz, Jerry Bergonzi, George Cables, Jimmy Owens, Charles Tolliver, Dick Oatts, Jim Snidero e ha fatto parte, negli anni ’90, della mitica band rock progressive "Area".
 
Condorelli: “Trasmetto il mio amore per il mainstream jazz”
 
“La pubblicazione di Native Language - spiega lo stesso musicista - risponde all’esigenza di tornare a trasmettere ad un vasto pubblico di appassionati di Jazz le mie scelte musicali e la mia attuale predilezione per il mainstream jazz. Il profilo ritmico armonico è pertanto molto presente in questo lavoro. Anziché proporre solo musica originale, ho preferito suonare brani molto conosciuti tra gli standard jazz ed alcuni jazz originals. Con Antonio Napolitano e Raffaele Natale suoniamo con
 
grande interplay e senso dello swing, all’insegna dell’estemporaneità e della freschezza espressiva”.
 
Piracci: “Un lavoro profondo, ma anche teso e spericolato”
 
"Pietro Condorelli - scrive di lui il chitarrista e docente Giacinto Piracci nella nota di copertina di "Native Language" - non è un semplice stilista molto preparato nel suo campo. La profondità della sua ricerca nel linguaggio jazzistico si scorge nei piccoli e preziosi dettagli in cui risiede gran parte del pregio di questa forma d'arte: la scelta delle legature, l'enunciazione, gli accenti, la fluidità del periodo e il "drive" sempre in avanti, teso e spericolato, che ricorda la guida temeraria di Dean Moriarty che Kerouac descrive in On the road".
 
Clemente: “La lingua naturale del jazz”
 
“Native Language di Pietro Condorelli - scrive Ugo Clemente, direttore editoriale del quotidiano Cronache - è un lavoro coraggioso. Nell’epoca delle contaminazioni e del postmodernismo musicale, dell’autoreferenzialità più estrema che spesso si rivela una mera riproposizione di cose già dette, il virtuoso chitarrista mostra come sia possibile esprimere idee nuove e attuali utilizzando il linguaggio naturale del jazz. Quello che nell’arco di un secolo si è trasformato ma anche strutturato sul piano grammaticale e lessicale”.
 
La copertina: l’opera “Labyrinth” di Salvatore Ravo
 
Salvatore Ravo è nato a Casalnuovo di Napoli nel 1959. Ha esordito come pittore e disegnatore tessile giovanissimo, realizzando una prima mostra a Napoli all’età di diciassette anni e maturando esperienze lavorative sui disegni ecclesiastici del Settecento. Dalla fine degli anni Settanta ha vissuto ed esposto in diversi Paesi del mondo: Spagna, Inghilterra, Belgio, Scozia, Cuba, Polonia, Portogallo. Ha collaborato con diverse rassegne jazz: con il Time in jazz di Berchidda, Sardegna, insieme a Paolo Fresu, artista per il quale ha firmato anche alcune copertine di album; per dieci anni consecutivi, con il Pomigliano Jazz Festival, ha partecipato a concerti live di jazzisti con la realizzazione di opere in progress. Ha curato mostre internazionali e tenuto seminari sul colore in diverse scuole d’Italia, Inghilterra, Cuba e Spagna. Ha realizzato il manifesto di Umbria Jazz Winter 21 a Orvieto.
 
La produzione
 
Le registrazioni e il missaggio sono opera di Gustavo Sciano, che ha lavorato al Vessel Recording Studio di San Nicola la Strada. La sola "I can't get started" è stata
 
registrata da Benny Salomone al Piana Lab. Le grafiche sono di Nicola Di Caprio, mentre l'immagine di copertina è l'opera "Labirinto" dell'artista Salvatore Ravo.
 
La location
 
Il concerto si svolgerà presso il prestigioso Conservatorio di Musica San Pietro a Majella di Napoli, istituito all’inizio dell’800 e nato dall’accorpamento delle quattro scuole musicali napoletane risalenti al XVI secolo. L’istituzione ospita una biblioteca, un archivio storico e un museo nel quale è possibile ammirare strumenti musicali, oggetti e scritti di inestimabile valore storico e artistico. Il Pietro Condorelli Native Language Trio si esibirà nella “Sala Martucci”, dedicata alla memoria del compositore Giuseppe Martucci, che proprio nel Conservatorio di Napoli fu docente dal 1880 in poi e a cui è intitolato il Conservatorio di Salerno
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MUSICA - Pietro Condorelli presenta il nuovo album "Native Language" giovedì 2 maggio al Conservatorio San Pietro a Majella

di Napoli Magazine

29/04/2024 - 17:58

Giovedì 2 maggio 2024, nella Sala Martucci del “Conservatorio San Pietro a Majella” di Napoli, via San Pietro a Majella, 35, a partire dalle ore 18:00 il chitarrista jazz Pietro Condorelli presenterà al pubblico il suo nuovo album, “NATIVE LANGUAGE”. Condorelli sarà accompagnato dai componenti del trio con cui ha lavorato per la realizzazione dell’album, il “Pietro Condorelli Native Language Trio”, che vede Antonio Napolitano al contrabbasso e Raffaele Natale alla batteria. L’album è già disponibile sulle principali piattaforme digitali (Apple Music, Spotify, Amazon Music), su Youtube e nei negozi di dischi su cd e da oggi anche in vinile. L’evento il programma della rassegna “I giovedì del Jazz”, organizzata dal Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli. L’ingresso è libero fino ad esaurimento posti.
 
I brani dell’album
 
L'album Native Language comprende 8 versioni rivisitate di storici standard jazz ("I love you" di Cole Porter, "A flower is a lovesome thing" di Billy Strayhorn, "All of me" di Gerald Marks e Seymour Simons, "Pannonica” di Thelonious Monk, "Strollin'" di Horace Silver, "Rhapsodic" di Claude Bolling, "Giraffe" di Don Garcia e "I can't get started" di Vernon Duke) e un brano originale che dà il nome al disco, "Native Language", composto da Pietro Condorelli.
 
Il tema del capolavoro di Cole Porter, “I love you”, viene proposto con una serie di obbligati e arricchito da un solo di chitarra nel quale troviamo tutti i segni distintivi del fraseggio di Condorelli: la ricerca del senso melodico, la varietà del ritmo, l’approccio pianistico allo strumento, il sapiente dosaggio delle dissonanze. Sin dal primo brano si nota l’arte del trio. La base ritmica di Raffaele Natale e Antonio Napolitano è materia viva, pulsante e sensibile alle sollecitazioni del solista.
 
Il secondo brano è anche una scelta “politica”, oltre che artistica. Un omaggio a uno dei più grandi compositori della storia del jazz, Billy Strayhorn e al valore sociale del jazz, un genere che ha rappresentato per anni l’unica voce di chi (afroamericani, omosessuali, donne) negli Stati Uniti non aveva voce. “A flower is a lovesome thing”, struggente ballata proposta in una versione articolata sul piano ritmico, sia nel tema che nel solo.
 
Il terzo brano è un altro grande classico, “All of me”. Una rivisitazione decisamente ben concepita, in cui utilizzando le chiavi di un gergo jazzistico moderno Condorelli riesce ad aprire, a destrutturare e a riproporre in modo originale, pur senza stravolgerla, l’anima della composizione di Gerald Marks e Seymour Simons.
 
La title track, “Native Language” è l’unica composizione originale dell’album. Anche qui la melodia si rifà al jazz delle origini, con una parte romantica che lascia il posto a un bridge allegro e ironico. È forse in questo brano che si nota maggiormente la complicità tra Condorelli e il batterista Raffaele Natale, che lo segue con maestria nel vertiginoso sviluppo del solo. Ed è anche quello in cui il contrabbassista Antonio Napolitano mette sul tavolo le sue risorse tecniche, in particolare nell’articolazione ritmica del suo spazio solistico.
 
Decisamente interessante l’interpretazione di “Pannonica” di Thelonious Monk. Il chitarrista appare decisamente ispirato e si/ci concede un viaggio quasi psichedelico, in cui riesce a dare prova di una impareggiata capacità di rompere qualsiasi schema espressivo e di abbandonarsi alla pura trance creativa. Una libertà solidamente supportata dalla base ritmica di Antonio Napolitano e Raffaele Natale.
 
In “Strollin’” di Horace Silver, il chitarrista torna nel perimetro del linguaggio jazzistico più “edibile” e dà prova delle sue capacità comunicative, ricorrendo all’accezione più piena dell’espressione “native language” nella costruzione del solo e nel comping.
 
"Rhapsodic" è l’omaggio al grande compositore e pianista jazz francese Claude Bolling. Un musicista il cui background culturale è molto in linea con la musicalità di Condorelli, per la comune formazione classica e per l’amore verso lo stile espressivo dello swing “popolare”. Un’affinità che si nota anche nell’interpretazione del brano da parte del chitarrista casertano.
 
In "Giraffe" di Don Garcia troviamo alcuni degli esempi più caratteristici del registro linguistico/espressivo di Condorelli, sempre un passo avanti (o di lato) rispetto alle aspettative dell’ascoltatore. Imprevedibilità che, però, nulla toglie alla innata capacità del musicista di coinvolgere anche l’ascoltatore più tradizionalista. È proprio qui che si fa evidente, ancor più che negli altri brani, l’armonia del trio e la bravura di Natale e Napolitano, che come un solo strumento tracciano le coordinate dell’audace improvvisazione del band leader.
 
L’ultimo brano, “I can’t get started”, è invece eseguito dal solo Condorelli in stile pianistico, genere reso popolare da Joe Pass nel 1973 con il suo album “Virtuoso”. Una sorta di vocazione e allo stesso tempo un marchio di fabbrica, per Condorelli, tra i pochissimi chitarristi (se non l’unico) in Italia a distinguersi per l’abilità di suonare la chitarra eseguendo contemporaneamente la parte melodica, quella armonica e quella ritmica.
 
Il linguaggio e la tecnica di Condorelli
 
 
Uno stile unico, inconfondibile, quello di Condorelli. Il suo è un linguaggio musicale che suona nuovo e familiare allo stesso tempo, che affonda le radici nella tradizione jazzistica sedimentatasi nel secolo scorso ma che è proiettato al futuro, in un lavoro costante fatto di studio, ricerca e sperimentazione. Una “lingua madre” che lui ha imparato a riconoscere sin da bambino, che ha amato per tutta la vita e che oggi padroneggia con disinvoltura e maestria.
Il suo approccio pianistico alla chitarra, suonata contemporaneamente come strumento armonico, melodico e ritmico, fa di lui l’unico vero rappresentante in Italia della scuola chitarristica che ha visto in Barney Kessel e Joe Pass i suoi più illustri punti di riferimento. Ma proprio questo modo di esprimere la propria musicalità ha spinto Condorelli a trarre insegnamento e ispirazione da altri strumentisti, da Thelonious Monk a Bill Evans, da Barry Harris a John Coltrane.
A ciò si aggiunge il contributo personale di un vero e proprio cultore e teorico del linguaggio jazzistico, esploratore delle infinite possibilità di evoluzione di esso e autore di numerose pubblicazioni in ambito didattico. La sua padronanza dello strumento è evidente nella tecnica perfetta, nelle improvvisazioni intricate e nel fraseggio emotivo. Un virtuoso nel senso più ampio possibile che però riesce a esprimere la sua idea della musica con sensibilità e raro lirismo.
 
La carriera artistica e accademica
 
Con un percorso musicale che lo ha portato dalla natia Italia a diversi palcoscenici internazionali, Condorelli si è affermato come figura di spicco della scena jazz contemporanea. Nel corso dei suoi 40 anni di carriera ha collaborato nella didattica con giganti del jazz come Joe Diorio, Mike Stern, Jim Hall e Mick Goodrick, ha insegnato 15 anni a Siena Jazz e dal 2000 è docente di Chitarra Jazz al Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli. Ha suonato con musicisti di fama internazionale come Lee Konitz, Jerry Bergonzi, George Cables, Jimmy Owens, Charles Tolliver, Dick Oatts, Jim Snidero e ha fatto parte, negli anni ’90, della mitica band rock progressive "Area".
 
Condorelli: “Trasmetto il mio amore per il mainstream jazz”
 
“La pubblicazione di Native Language - spiega lo stesso musicista - risponde all’esigenza di tornare a trasmettere ad un vasto pubblico di appassionati di Jazz le mie scelte musicali e la mia attuale predilezione per il mainstream jazz. Il profilo ritmico armonico è pertanto molto presente in questo lavoro. Anziché proporre solo musica originale, ho preferito suonare brani molto conosciuti tra gli standard jazz ed alcuni jazz originals. Con Antonio Napolitano e Raffaele Natale suoniamo con
 
grande interplay e senso dello swing, all’insegna dell’estemporaneità e della freschezza espressiva”.
 
Piracci: “Un lavoro profondo, ma anche teso e spericolato”
 
"Pietro Condorelli - scrive di lui il chitarrista e docente Giacinto Piracci nella nota di copertina di "Native Language" - non è un semplice stilista molto preparato nel suo campo. La profondità della sua ricerca nel linguaggio jazzistico si scorge nei piccoli e preziosi dettagli in cui risiede gran parte del pregio di questa forma d'arte: la scelta delle legature, l'enunciazione, gli accenti, la fluidità del periodo e il "drive" sempre in avanti, teso e spericolato, che ricorda la guida temeraria di Dean Moriarty che Kerouac descrive in On the road".
 
Clemente: “La lingua naturale del jazz”
 
“Native Language di Pietro Condorelli - scrive Ugo Clemente, direttore editoriale del quotidiano Cronache - è un lavoro coraggioso. Nell’epoca delle contaminazioni e del postmodernismo musicale, dell’autoreferenzialità più estrema che spesso si rivela una mera riproposizione di cose già dette, il virtuoso chitarrista mostra come sia possibile esprimere idee nuove e attuali utilizzando il linguaggio naturale del jazz. Quello che nell’arco di un secolo si è trasformato ma anche strutturato sul piano grammaticale e lessicale”.
 
La copertina: l’opera “Labyrinth” di Salvatore Ravo
 
Salvatore Ravo è nato a Casalnuovo di Napoli nel 1959. Ha esordito come pittore e disegnatore tessile giovanissimo, realizzando una prima mostra a Napoli all’età di diciassette anni e maturando esperienze lavorative sui disegni ecclesiastici del Settecento. Dalla fine degli anni Settanta ha vissuto ed esposto in diversi Paesi del mondo: Spagna, Inghilterra, Belgio, Scozia, Cuba, Polonia, Portogallo. Ha collaborato con diverse rassegne jazz: con il Time in jazz di Berchidda, Sardegna, insieme a Paolo Fresu, artista per il quale ha firmato anche alcune copertine di album; per dieci anni consecutivi, con il Pomigliano Jazz Festival, ha partecipato a concerti live di jazzisti con la realizzazione di opere in progress. Ha curato mostre internazionali e tenuto seminari sul colore in diverse scuole d’Italia, Inghilterra, Cuba e Spagna. Ha realizzato il manifesto di Umbria Jazz Winter 21 a Orvieto.
 
La produzione
 
Le registrazioni e il missaggio sono opera di Gustavo Sciano, che ha lavorato al Vessel Recording Studio di San Nicola la Strada. La sola "I can't get started" è stata
 
registrata da Benny Salomone al Piana Lab. Le grafiche sono di Nicola Di Caprio, mentre l'immagine di copertina è l'opera "Labirinto" dell'artista Salvatore Ravo.
 
La location
 
Il concerto si svolgerà presso il prestigioso Conservatorio di Musica San Pietro a Majella di Napoli, istituito all’inizio dell’800 e nato dall’accorpamento delle quattro scuole musicali napoletane risalenti al XVI secolo. L’istituzione ospita una biblioteca, un archivio storico e un museo nel quale è possibile ammirare strumenti musicali, oggetti e scritti di inestimabile valore storico e artistico. Il Pietro Condorelli Native Language Trio si esibirà nella “Sala Martucci”, dedicata alla memoria del compositore Giuseppe Martucci, che proprio nel Conservatorio di Napoli fu docente dal 1880 in poi e a cui è intitolato il Conservatorio di Salerno