A "1 Football Club", programma radiofonico in onda su 1 Station Radio, è intervenuto Massimo Chiesa, ex arbitro di Serie A. Di seguito, un estratto dell'intervista.
Polemiche dal punto di vista arbitrale sabato sera nel match tra Milan e Lazio. Lei dove si pone in quella situazione in cui l’arbitro viene richiamato al VAR per un presunto tocco di mano di Pavlovic e poi assegna un fallo sullo stesso difendente?
“È stato gestito male. Paradossalmente era andata bene in presa diretta, nel senso che Collu non aveva fischiato nulla, ed era la decisione giusta. L’intervento del VAR, a mio avviso, è sembrato illegittimo. È vero che Pavlovic la tocca con il gomito, è vero che il braccio è leggermente più largo, ed è altrettanto vero che prima si strattonano entrambi. Però è stato gestito male perché, anche quando la spiega, Collu dice che Pavlovic. Secondo me non ha fischiato il fallo per la trattenuta, ha semplicemente lasciato perdere e poi, nella spiegazione, ha parlato della maglia tirata. Questo ha creato ancora più confusione. Non c’era niente, semplicemente non c’era niente. Quindi era inutile richiamare l’arbitro al VAR. Pavlovic non aveva né guadagnato vantaggio né cercato il pallone col gomito: era solo un braccio un po’ più largo. Ci complichiamo la vita anche quando non ci sono problemi. È evidente che così non ne usciremo mai".
Questo richiamo al Var non svilisce la figura di Collu che era l’unico a poter capire l’intensità dal campo?
“Sì, l’intervento del VAR è stato sbagliato. Abbiamo visto in un paio di occasioni il VAR intervenire senza averne la legittimità, in questa stagione. E poi, bisognerebbe evitare che nella mentalità dei calciatori, degli spettatori e dei tifosi si crei l’idea che ogni volta che si va al VAR debba per forza esserci rigore. Però serve maggiore chiarezza nel protocollo e nelle motivazioni che portano un VARista a richiamare l’arbitro. Altrimenti lo metti davvero in difficoltà. Perché nel momento in cui lo richiami, il pubblico dà per scontato che il VAR abbia visto qualcosa di meritevole di attenzione, o qualcosa di grave non ravvisato. E si parte da questo preconcetto sbagliato".
A proposito, Massimo, visto che ha citato il tema del protocollo, le chiedo: sarebbe d’accordo con l’introduzione del challenge dalle panchine?
“Sì, io sarei d’accordo. Lo dico da tanto: due o tre interventi. Nelle intenzioni iniziali il VAR doveva essere di supporto per eliminare gli errori clamorosi sfuggiti al controllo umano. Non ci sono mai più di tre episodi a partita. Io darei una chiamata all’allenatore e una alla squadra in generale, non di più. Perché se cominciamo ad annullare un gol dopo 40 secondi per un contatto minimo, finisce il calcio. Davvero".
Spostiamoci su Roma–Napoli. I romanisti si lamentano per un presunto fallo di Rrahmani su Kone: era da sanzionare?
“Secondo me no, non era fallo. Lui va dritto sul pallone e dovremmo cercare di premiare anche le intenzioni. Arriva in anticipo, poi è chiaro che ci sia un contatto. E qui torno su un mantra che mi sta molto a cuore: il calcio è uno sport di contatto. Se io cerco il pallone e prendo il pallone, non posso scomparire. Dinamicamente ci può essere un contatto con l’avversario, ma ciò che conta è l’intenzione nel momento della giocata. Quando si va diretti sull’uomo, allora ci sono ammonizioni o espulsioni. Quando si va sulla palla, il contatto successivo può esserci. Ma se prendi il fermo immagine di un tocco, al video è sempre fallo, perché è comunque un tocco. Bisogna capire l’intensità e la dinamica, e questo può farlo solo l’arbitro in campo".
Ancora sul tema dei protocolli e delle possibili modifiche regolamentari: sarebbe giusto introdurre il tempo effettivo di gioco?
“È un altro modo di andare a toccare un’impalcatura stabile da cent’anni e cambiarla. Perché dovremmo essere più sicuri con 30 minuti effettivi a tempo? Chi sarebbe più tutelato? Il calcio è sempre andato così. Abbiamo già fatto tanti cambiamenti e adeguamenti. Non stravolgiamo tutto. Questa è una mia opinione personale, contestabilissima. Capisco il tema, ma al momento non mi sembra una soluzione. Challenge sì, tempo effettivo no. Nel passato forse, quando si giocava molto meno, avrebbe avuto più senso. Ma oggi si gioca già molto di più rispetto a trent’anni fa, anche grazie alle modifiche come il divieto di perdere tempo sul retropassaggio al portiere. Sono stati fatti tanti miglioramenti".
di Redazione
01/12/2025 - 12:01
A "1 Football Club", programma radiofonico in onda su 1 Station Radio, è intervenuto Massimo Chiesa, ex arbitro di Serie A. Di seguito, un estratto dell'intervista.
Polemiche dal punto di vista arbitrale sabato sera nel match tra Milan e Lazio. Lei dove si pone in quella situazione in cui l’arbitro viene richiamato al VAR per un presunto tocco di mano di Pavlovic e poi assegna un fallo sullo stesso difendente?
“È stato gestito male. Paradossalmente era andata bene in presa diretta, nel senso che Collu non aveva fischiato nulla, ed era la decisione giusta. L’intervento del VAR, a mio avviso, è sembrato illegittimo. È vero che Pavlovic la tocca con il gomito, è vero che il braccio è leggermente più largo, ed è altrettanto vero che prima si strattonano entrambi. Però è stato gestito male perché, anche quando la spiega, Collu dice che Pavlovic. Secondo me non ha fischiato il fallo per la trattenuta, ha semplicemente lasciato perdere e poi, nella spiegazione, ha parlato della maglia tirata. Questo ha creato ancora più confusione. Non c’era niente, semplicemente non c’era niente. Quindi era inutile richiamare l’arbitro al VAR. Pavlovic non aveva né guadagnato vantaggio né cercato il pallone col gomito: era solo un braccio un po’ più largo. Ci complichiamo la vita anche quando non ci sono problemi. È evidente che così non ne usciremo mai".
Questo richiamo al Var non svilisce la figura di Collu che era l’unico a poter capire l’intensità dal campo?
“Sì, l’intervento del VAR è stato sbagliato. Abbiamo visto in un paio di occasioni il VAR intervenire senza averne la legittimità, in questa stagione. E poi, bisognerebbe evitare che nella mentalità dei calciatori, degli spettatori e dei tifosi si crei l’idea che ogni volta che si va al VAR debba per forza esserci rigore. Però serve maggiore chiarezza nel protocollo e nelle motivazioni che portano un VARista a richiamare l’arbitro. Altrimenti lo metti davvero in difficoltà. Perché nel momento in cui lo richiami, il pubblico dà per scontato che il VAR abbia visto qualcosa di meritevole di attenzione, o qualcosa di grave non ravvisato. E si parte da questo preconcetto sbagliato".
A proposito, Massimo, visto che ha citato il tema del protocollo, le chiedo: sarebbe d’accordo con l’introduzione del challenge dalle panchine?
“Sì, io sarei d’accordo. Lo dico da tanto: due o tre interventi. Nelle intenzioni iniziali il VAR doveva essere di supporto per eliminare gli errori clamorosi sfuggiti al controllo umano. Non ci sono mai più di tre episodi a partita. Io darei una chiamata all’allenatore e una alla squadra in generale, non di più. Perché se cominciamo ad annullare un gol dopo 40 secondi per un contatto minimo, finisce il calcio. Davvero".
Spostiamoci su Roma–Napoli. I romanisti si lamentano per un presunto fallo di Rrahmani su Kone: era da sanzionare?
“Secondo me no, non era fallo. Lui va dritto sul pallone e dovremmo cercare di premiare anche le intenzioni. Arriva in anticipo, poi è chiaro che ci sia un contatto. E qui torno su un mantra che mi sta molto a cuore: il calcio è uno sport di contatto. Se io cerco il pallone e prendo il pallone, non posso scomparire. Dinamicamente ci può essere un contatto con l’avversario, ma ciò che conta è l’intenzione nel momento della giocata. Quando si va diretti sull’uomo, allora ci sono ammonizioni o espulsioni. Quando si va sulla palla, il contatto successivo può esserci. Ma se prendi il fermo immagine di un tocco, al video è sempre fallo, perché è comunque un tocco. Bisogna capire l’intensità e la dinamica, e questo può farlo solo l’arbitro in campo".
Ancora sul tema dei protocolli e delle possibili modifiche regolamentari: sarebbe giusto introdurre il tempo effettivo di gioco?
“È un altro modo di andare a toccare un’impalcatura stabile da cent’anni e cambiarla. Perché dovremmo essere più sicuri con 30 minuti effettivi a tempo? Chi sarebbe più tutelato? Il calcio è sempre andato così. Abbiamo già fatto tanti cambiamenti e adeguamenti. Non stravolgiamo tutto. Questa è una mia opinione personale, contestabilissima. Capisco il tema, ma al momento non mi sembra una soluzione. Challenge sì, tempo effettivo no. Nel passato forse, quando si giocava molto meno, avrebbe avuto più senso. Ma oggi si gioca già molto di più rispetto a trent’anni fa, anche grazie alle modifiche come il divieto di perdere tempo sul retropassaggio al portiere. Sono stati fatti tanti miglioramenti".